Buoni Pasto: la nuova sentenza della Cassazione ribalta tutto | Spettano anche in questi casi

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Una sentenza della Cassazione cambia radicalmente il panorama dei buoni pasto, definendo chi ha diritto a riceverli e in quali situazioni.
I buoni pasto sono stati a lungo un tema cruciale nel confronto sui diritti dei lavoratori, non solo come un vantaggio economico, di cui sicuramente è utile usufruire.
Essi forniscono anche un sostegno essenziale per il recupero delle energie fisiche e mentali nel corso della giornata di lavoro; permettono, soprattutto, di ammortizzare sui costi dei pasti fuori casa.
La loro definizione e le modalità per ottenerli sono state frequentemente al centro di dispute legali, specialmente a causa delle differenze nei turni di lavoro che hanno creato ingiustizie tra i dipendenti.
Con la recente ordinanza n. 25525/25, la Cassazione ha messo un punto fermo su questa ambiguità, stabilendo un principio di giustizia sostanziale e universale per tutti i lavoratori.
La sentenza storica
Il caso che ha portato a questa sentenza significativa riguardava un conflitto tra i dipendenti e un’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo. Secondo quanto riportato da La Legge per Tutti, l’ASP sosteneva che i buoni pasto fossero destinati solo ai dipendenti con orario spezzato, poiché questi avevano diritto a una pausa pranzo, escludendo così i lavoratori a turni, la cui attività è spesso continua.
La Corte di Cassazione ha tuttavia rigettato completamente tale interpretazione, considerandola senza fondamento. I giudici hanno precisato che il buono pasto non rientra nella retribuzione, ma ha una natura assistenziale, volto a garantire il benessere del lavoratore. Di conseguenza, il diritto a riceverlo non può dipendere dal modo in cui viene svolta la pausa, ma esclusivamente dalla sua fruizione reale.
Diritto alla pausa
La Cassazione ha stabilito che l’unico requisito per avere diritto al buono pasto è che la giornata lavorativa debba superare le sei ore, assicurando così al dipendente il diritto a una pausa non lavorativa. La forma di organizzazione del lavoro, che si tratti di turni o di orario spezzato, è stata considerata irrilevante per l’attribuzione di questo diritto. In altre parole, il diritto alla pausa e il corrispondente diritto al buono pasto non possono essere semplicemente limitati dalle esigenze organizzative del datore di lavoro.
L’ordinanza, come messo in evidenza da La Legge per Tutti, si basa su un’interpretazione adeguata delle normative vigenti, che collegano in modo chiaro il diritto a una pausa per il pasto al superamento delle sei ore di lavoro. La sentenza, confermando le decisioni precedenti, ha respinto il ricorso dell’ASP, affermando il diritto dei lavoratori a ricevere i buoni pasto per tutti i turni superiori a sei ore. In conclusione, il principio di equità mette fine a interpretazioni restrittive e garantisce una protezione uniforme a milioni di lavoratori pubblici.